“Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.
La vocazione cristiana non è quella di essere “cornacchie” di sventurata. Dal Vangelo imparo che la scena di questo mondo passa, che ogni cosa ha un inizio e una fine, compresa la nostra vita, e questo mondo. Che il nostro destino non è nel finire, nella fine, ma è la vita eterna che inizia esattamente quando tutto sembra ormai finire.
La nostra vocazione è rialzarsi, levare il capo, assumere una posizione eretta, smettere di guardarsi i piedi, alzare lo sguardo, avvertire che la liberazione è vicina. Sentire la libertà avvicinarsi esattamente come alla fine dell’inverno si avverte l’imminente arrivo della primavera. Sentire premere dentro di noi una speranza che non sappiamo dire fino in fondo ma che diventa una motivazione che ci spinge in avanti, ci spinge a un protagonismo insperato.
È il tempo in cui si realizzano quelle parole che pronunciamo nella liturgia e che forse non diciamo con tutta la consapevolezza di cui avrebbero bisogno: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. In questo modo, morte, resurrezione ed attesa si intrecciano come una trama che attraversa tutta la nostra esistenza, e la trasfigurano riempendola di significato.
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