Giubileo 2025 - pellegrini di speranza


Istruzioni giubilari

Anno Santo - Anno di Grazia - Prima puntata!

Vorrei dare vita a una semplice “rubrica” che possa guidarci alla comprensione del Giubileo, e come poterlo vivere comunitariamente e personalmente. Cercherò, ogni settimana, di consegnarvi delle semplici “istruzioni” giubilari.

Parto dalla definizione di anno santo.

Ogni anno i cristiani vivono dei tempi speciali. In avvento, ad esempio, ci prepariamo alla venuta del Signore, mentre nel Natale gustiamo lo stupore per la nascita di Gesù, il Figlio di Dio che si è fatto piccolo come noi. In Quaresima, ci prepariamo alla Pasqua, la festa più grande dei cristiani, perché Gesù muore e risorge per donarci la salvezza. C’è, invece, un tempo forte che non si ripete ogni anno, ma che dura un anno intero. È il giubileo: un anno santo, un anno di grazia, in cui i cristiani sono chiamati ad avvicinarsi di più a Gesù, per essere più suoi amici. È Anno Santo perché tempo di remissione dei peccati, di riconciliazione, di conversione, di penitenza. È Anno Santo perché tempo di gioia e di libertà! Tutto questo riassume la vita di Gesù portare gioia, libertà, occhi guariti, liberazione. Un messia che non impone pesi, ma li toglie; che non porta precetti, ma orizzonti. E sono parole di speranza per chi è stanco, è vittima, non ce la fa più. Dio riparte dagli ultimi della fila, raggiunge la verità dell'umano attraverso le sue radici ammalorate. Termino citando un passo di Madleine Delbrel: “Forse Dio è stanco di devoti solenni e austeri, di eroi dell'etica, di eremiti pii e pensosi, forse vuole dei giullari felici, alla san Francesco, felici di vivere. Occhi come stelle. E prigionieri usciti dalle segrete che danzano nel sole”.

Buon Giubileo!


Basilica santa maria maggiore

Il Giubileo da poco iniziato può essere vissuto come occasione di stupore, quello che ha sempre accompagnato i pellegrini diretti a Roma, ancor prima dell’indizione del primo anno santo della storia, il 22 febbraio del 1300.

Come non prova stupore, anzitutto, di fronte ai “tesori” spirituali che la Chiesa, nell’anno giubilare, mette a disposizione dei fedeli? Sono i meriti di Cristo, di Maria e di tutti i Santi che diventano dono di misericordia attraverso la pratica dell'indulgenza.

Come non sentirsi stupiti di fronte alla misericordia di Dio, sempre pronto a spalancare le braccia all’uomo peccatore, proprio come si aprono i battenti delle porte sante?

Come non avvertire un senso di stupore a contatto con l’immenso patrimonio artistico e storico che, a Roma in particolare, ha prodotto la fede dei cristiani, intenzionati a dar vita ad opere capaci di riflettere un raggio della bellezza della fede?

Noi, cristiani di oggi - spesso intorpiditi, disillusi, stanchi - abbiamo certamente bisogno di provare lo stesso stupore degli antichi pellegrini per ritrovare slancio e per assaporare la gioia sorgiva della fede. Possiamo quindi farci romei, pellegrini diretti a Roma, non solo attraverso il pellegrinaggio fattivo, ma anche grazie a forme comunicative virtuali che, pur non supplendo alle visite “in presenza”, ci possono aiutare a preparare la mente e il cuore all’esperienza e possono nutrire il desiderio stesso di conoscere la Bellezza di cui la vita cristiana non può fare a meno.

 

Il viaggio virtuale prende avvio da Santa Maria Maggiore, una delle quattro basiliche papali, luogo che, a partire dal IV secolo, è il centro della liturgia natalizia. In essa tutto parla dello stupore verso il mistero dell’Incarnazione e dell’infanzia di Cristo.

 

Varcare la Porta Santa della Basilica di Santa Maria Maggiore, sull'Esquilino, significa immergersi nel clima di stupore che dovettero provare i cristiani del IV secolo all'indomani del Concilio di Efeso che aveva solennemente proclamato che Gesù è vero Dio e vero Uomo e, insieme, la dignità di Maria, realmente Madre di Dio(Theotokos).

L'anno successivo alla conclusione del Concilio di Efeso, papa Sisto III decise la fondazione della Basilica che dedicò proprio a Maria venerata con il titolo di "Madre di Dio" e che costituisce il primo edificio sacro mariano della storia. Il pontefice volle imponente e ricchissimo l’arco trionfale, ancora esistente seppure non introduca più allo spazio absidale, ampliato ai tempi di Nicolò IV (1288-1399): doveva essere – ed è tuttora - testimonianza eloquente della meraviglia dei cristiani del IV secolo verso le verità definite dal Concilio di Efeso.

 

La straordinaria opera è ripartita su quattro registri, ognuno dei quali racchiude due raffigurazioni disposte in forma coerente rispetto alla verità da affermare. Partendo dall'alto, il primo registro comprende la rappresentazione di due eventi che definiscono la natura divina di Gesù. A sinistra l’Annunciazione, con Maria in vesti imperiali e seduta in trono, a dire la sua altissima dignità di Madre di Dio, ritratta mentre sta “tessendo” la carne del Figlio di Dio; a sinistra la Presentazione al Tempio, con il vecchio Simeone che si inchina davanti al Salvatore e si copre le mani perché quel bambino che si appresta a prendere tra le mani è vero Dio, oltre che vero uomo.

Il registro sottostante ha la finalità di rappresentare la manifestazione di Cristo ai pagani: a sinistra troviamo pertanto l’Adorazione dei magi che indossano il caratteristico berretto frigio: si tratta di un particolare che li rende immediatamente identificabili come saggi giunti dall’oriente dove si credeva che il re fosse anche dio. Dalla parte opposta si trova la raffigurazione di un episodio tratto dal vangeli apocrifi: durante la fuga in Egitto, la Sacra Famiglia entra nel Capitolium della città di Sotinen e subito crollano le statue dei 365 idoli che adornano il luogo.

Nel terzo registro, infine, viene tematizzato il rifiuto della divinità di Cristo attraverso la figura emblematica di Erode che, di fronte alla madri di Betlemme decreta la strage degli innocenti (a sinistra) e al cospetto degli scribi e dei magi afferma falsamente di voler andare ad adorate “il re dei Giudei che è nato”.

Si tratta di raffigurazioni ricchissime di aspetti simbolici che è possibile scoprire attraverso la visione dei video sotto indicati.

Domenico Vescia


Le prime tracce del Giubileo - Seconda puntata!

Questa settimana andremo alla scoperta delle prime tracce del giubileo nell’Antico Testamento. 

Per il Ebrei, il sabato è il giorno del riposo, in cui santificare e mettere Dio ali centro della propria vita. Nell’Antico Testamento troviamo descritti altri momenti particolari legati al sabato. Nel libro del Levitico, sono raccolte tante leggi (o prescrizioni) che il Signore detta a Mosè sul monte Sinai. Tra queste, c'è l'istituzione dell'anno sabbatico, chiamato anche Sabato dei sabati, e l'anno giubilare, che potremmo chiamare l'anno del sabato speciale.

L'anno giubilare viene istituito dal Signore con queste parole: «Lascerete passare sette periodi di sette anni, ossia quarantanove anni. Poi, il dieci del settimo mese, nel grande giorno del perdono dei peccati, farete risuonare in tutta la vostra terra il suono del corno. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione per tutti gli abitanti della terra. Quest'anno porterà il nome di giubileo».

La liberazione di cui parla il Signore può anche essere chiamata remissione: deve, infatti, rimettere al Posto giusto ciò che è stato messo in Disordine.

La Liberazione giubilare si basa su quattro punti:

1. i campi non dovevano essere lavorati, ma si sarebbe mangiato quello che la terra offriva;

2. i debiti venivano condonati;

3. le proprietà venivano restituite;

4. gli schiavi erano liberati.

In questo modo veniva rimesso al posto giusto il concetto di dono: tutto ci è stato dato da Dio e noi siamo soltanto ospiti e custodi del creato.

La parola giubileo nasce dal corno d'ariete, usato per proclamare il giubileo, che in ebraico si diceva yoBel.


Gesù porta la liberazione - Terza puntata giubilare!

Per i cristiani, il giubileo è un anno di grazia. Grazia e gratuità sono sinonimi nella Bibbia. A noi viene sicuramente in mente qualcosa di bello se pensiamo a grazia, e qualcosa che non si paga, che è gratis, se pensiamo a gratuità!

Invece, nel linguaggio della Bibbia, la grazia è qualcosa che noi non abbiamo progettato o pensato o previsto di fare, ma è qualcosa che riceviamo in Dono, gratuitamente.

La prima grazia che abbiamo ricevuto è l'essere nati: noi non abbiamo pensato di nascere, ci hanno pensato i nostri genitori. La nostra nascita è un evento di grazia.

Il giubileo è un intero anno di grazia perché Dio pensa e provvede al suo popolo (il popolo, per esempio, non deve lavorare la terra ma troverà comunque cibo per nutrirsi perché Dio provvede).

Per noi cristiani c'è qualcosa di più.

Nel Vangelo di Luca, al capitolo 4, troviamo un episodio della vita di Gesù: all'inizio della sua predicazione, di sabato, va nella sinagoga, dove legge e commenta un brano del profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore». Dopo aver letto il brano, Gesù dice: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Con Gesù le parole del profeta Isaia diventano realtà. L'anno di grazia del Signore è ora un giubileo che si compie attraverso Gesù.

A settimana porssima!


Il Primo Giubileo - Quarta puntata

Oggi parliamo del primo giubileo. Roma è sempre stata meta di pellegrini desiderosi di pregare sulle tombe dei martiri e di visitare le prime chiese. A Natale del 1299, i pellegrini che andavano a pregare nella Basilica di San Pietro divennero sempre più numerosi perché si era diffusa la voce che chi si fosse recato a Roma in pellegrinaggio avrebbe ricevuto il pieno perdono dei peccati. Il 17 gennaio del 1300, papa Bonifacio VIII, incuriosito da tanta folla che arrivava a San Pietro, chiese direttamente il motivo di tutto quell'accorrere a Roma. I pellegrini gli risposero che avevano sentito dire dell'indulgenza che avrebbero ricevuto per ogni giorno di pellegrinaggio.

Non volendo deludere tanta pietà popolare, il mese dopo il Papa pubblicò la Bolla con cui approvava il pellegrinaggio a Roma e dichiarava il Pienissimo perdono dei peccati per chi si fosse recato nelle basiliche di San Pietro e di San Paolo, per trenta volte se abitanti a Roma e per quindici volte se forestieri. Giunsero a Roma tantissimi visitatori, circa due milioni, dall'Italia e dall’Europa. Il pellegrino che arrivava a Roma per l'anno santo veniva chiamato “romeo”. Tra i tanti pellegrini, si pensa che ci sia stato anche Dante Alighieri, il famoso poeta che ha scritto la Divina Commedia. Infatti, in uno dei suoi versi,

Dante descrive la confusione dei pellegrini che percorrevano il ponte Sant'Angelo, a Roma, nei due sensi di marcia, cosa che avvenne nell'anno del giubileo.

Il testo della bolla papale fu inciso su marmo e la lastra si trova ancora oggi sulla facciata della basilica di San Pietro, in alto, a sinistra della Porta Santa.


L’arco trionfale di Santa Maria Maggiore:

PIENEZZA DI VITA ED ORIZZONTE ETERNO

L’Etimasìa e le città di Gerusalemme e Betlemme

L’arte cristiana nel suo complesso, ma soprattutto quella di età antica medievale, rappresentano realtà che trovano il loro compimento in ciò che deve ancora avvenire, in un orizzonte escatologico che vedrà il ritorno di Cristo, fine e senso ultimo della storia. Il fedele è così indotto a proiettarsi in un orizzonte di eternità e a considerare che c’è un oltre, un futuro di felicità e di pienezza verso il quale è incamminato.

A questo proposito sono emblematiche due rappresentazioni che completano l’iconografia dell’Arco Trionfale della Basilica romana di Santa Maria Maggiore, voluto da Papa Sisto III e realizzato tra il 432 e il 440. Siamo all’indomani della conclusione del Concilio di Efeso (431) che aveva solennemente definito la verità della duplice natura di Cristo, vero Dio e vero Uomo, e la divina maternità di Maria, da venerare con il titolo di Madre di Dio (Theotokos) e non, semplicemente, come Madre di Cristo (Christotokos). Il programma iconografico dell’arco, come si è visto in un precedente intervento, comprende sei riquadri che mostrano l’Incarnazione divina di Cristo (Annunciazione e Presentazione al Tempio), la sua manifestazione davanti ai pagani (Adorazione dei Magi e Incontro con il governatore Afrodisio a Sotinen), il rifiuto umano di fronte alla Figlio di Dio (Erode che decreta la strage degli innocenti e Gli scribi e i Magi di fronte a Erode).

Tutte queste rappresentazioni trovano tuttavia il loro senso in ciò che è raffigurato nel clipeo centrale, sulla sommità dell’arco. Si tratta di un trono imperiale vuoto, sul quale si erge la croce gemmata che poggia la sua base in un diadema regale. Si tratta di una modalità rappresentativa che ha i suoi esordi proprio nel V secolo, in un'epoca in cui la sensibilità dei cristiani non osava rappresentare realisticamente la croce come patibulum, terribile strumento di tortura e di morte per coloro che si rendevano responsabili di crimini considerati gravissimi. La croce era servile supplicium, legno della vergogna, degno degli schiavi. La croce gemmata è invece segno di vittoria che proclama la Risurrezione e annuncia il ritorno glorioso di Cristo. Ciò che essa rappresenta riguarda il mistero di Colui che dona la vita per la redenzione degli uomini ma risorge il terzo giorno e vivo e glorioso è presente nella sua Chiesa. 

La rappresentazione del trono vuoto ha il nome di Etimasìa, parola greca che deriva dal verbo etoimazo che indica l'azione di chi prepara qualcosa in vista di qualcuno che sta per giungere.

È il trono pronto per Cristo, incarnato nella storia, crocifisso, risorto e asceso al cielo, che ritornerà alla fine dei tempi. 

Alla base dell’arco si trovano le raffigurazioni delle città di Gerusalemme, a sinistra, e di Betlemme, a destra. Entrambe le città hanno pianta esagonale, sono circondate da alte mura con torri angolari e mostrano un’imponente porta senza battenti da cui pendono una croce dorata, affiancata da due grandi pietre preziose. All’interno si distinguono imponenti edifici dall’architettura romana.

Le mura sono dorate e costellate di gemme dalle diverse forme e da perle.

La città di sinistra è la Gerusalemme celeste di cui parla il Libro dell’Apocalisse, “Risplendente della gloria di Dio” (Ap 21, 10). In essa non vi è tempio, “Perché il Signore Dio e l’Agnello sono il suo tempio” (Ap 21, 22), che “Non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna” perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello” (Ap 21, 23). Essa è immagine di quanto accadrà al ritorno di Cristo – la parusìa – quando Egli sarà tutto in tutti e sarà svelato il vero senso della storia.

Gerusalemme rappresenta anche l’Antico Testamento che rivela ciò che troverà compimento nel Nuovo, culmine della rivelazione, simboleggiato dalla città di Betlemme. È la città della nascita del Salvatore e rappresenta il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio; è il luogo in cui ciascun uomo si riconosce amato da un Dio che ha assunto la loro stessa carne.

Sei agnelli stanno davanti alle porte di ciascuna città: sono la rappresentazioni degli apostoli, chiamati a diffondere la novità del Vangelo in ogni luogo della terra, chiamando ogni uomo a possedere la vita eterna.

Domenico Vesci


LA NAVATA CENTRALE DI SANTA MARIA MAGGIORE

E IL SENSO DELLA STORIA

Allo stesso modo della decorazione dell’Arco Trionfale, i mosaici della navata centrale della Basilica di Santa Maria Maggiore rivestono un importantissimo valore didascalico, sono cioè destinati ad istruire il fedele per aiutarlo a contemplare l’essenza della fede e a stupirsi delle opere di Dio. I ventisette riquadri originari sono come i fotogrammi di una pellicola cinematografica, seguendo i quali il fedele può assistere ad un’ideale proiezione dei principali fatti narrati nei libri biblici della Genesi, del Deuteronomio, dei Numeri e di Giosuè. In essi si trovano i fondamenti della storia ebraica, dai patriarchi alla liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, all’arrivo nella terra di Canaan fino all’assedio di Gerico. Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e Giosuè sono i protagonisti delle vicende narrate e assumono il ruolo di modelli di sottomissione a Dio e di pronta obbedienza alla sua Parola.

Davanti a tali riquadri, il fedele è invitato a camminare, proprio come il popolo d’Israele lungo la storia, sotto la guida di coloro che Dio stesso ha scelto; passando di vicenda in vicenda egli è condotto ad interrogarsi sul senso delle vicende antiche per scoprire che ogni momento e ogni accadimento sono orientati verso Colui che è il Signore del tempo: Gesù Cristo. La pedagogia divina prepara gli uomini ad accogliere il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio nel grembo della Vergine Madre, come hanno sostenuto i Padri della Chiesa che hanno stimolato a leggere l’Antico Testamento accanto al Nuovo e in funzione di esso. Ciò vale anche per i fatti più violenti e sanguinosi che lo stesso S. Agostino interpreta come allegorie della lotta che il cristiano deve essere pronto a sostenere, ma anche delle sofferenze e delle persecuzioni sofferte dalla Chiesa di ogni tempo.

I mosaici della navata centrale della Basilica sono stupefacenti non solo per ciò che essi narrano, ma anche per la qualità dello stile con cui sono realizzati; uniscono cioè la tradizione del mosaico romano con gli influssi della sensibilità bizantina. Essi sono coevi rispetto alla costruzione dell’edificio e alla realizzazione dell’arco trionfale: risalgono cioè alla prima metà del V secolo e, in particolare, agli anni del pontificato di Sisto III impegnato a fare della Basilica una testimonianza visiva della bellezza dei misteri cristiani verso i quali ogni fedele è chiamato innanzitutto a provare stupore.

Domenico Vescia


La DORMITIO VIRGINIS nell’abside di Santa Maria Maggiore

La tenerezza dei cristiani verso il transito della Madre di Dio

Una testimonianza della spiritualità orientale nel massimo tempio mariano della cristianità. Così potrebbe essere definita la splendida rappresentazione della Dormitio Virginis – “Dormizione” di Maria – nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Mentre in Occidente il termine della vita terrena di Maria viene associato alla sua Assunzione al cielo in anima e corpo, in Oriente la liturgia ortodossa celebra la Dormizione di Maria. Poteva essere soggetta alla corruzione del sepolcro Colei che aveva portato nel suo grembo Cristo, vero uomo e vero Dio? La risposta negativa non è solo una deduzione logica, ma un’affermazione di fede rispetto al rapporto tra la Madre e il suo Figlio divino. Questa considerazione, unita ai sentimenti di profonda delicatezza con cui i cristiani da sempre onorano Maria, è necessaria per comprendere la rappresentazione del momento in cui la Vergine passa dall’esistenza terrena alla vita eterna.

Autore della Dormitio Virginis di Santa Maria Maggiore è Jacopo Torriti, grande mosaicista protagonista del panorama artistico romano nel periodo a cavallo tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, insieme a Filippo Rusuti e Pietro Cavallini. L’artista approda a Santa Maria Maggiore dopo aver realizzato il mosaico absidale di San Giovanni in Laterano per rispondere al programma iconografico voluto da papa Niccolò IV, di concerto con il cardinale Giacomo Colonna; lavora pertanto nella decorazione della zona absidale tra il 1295 e il 1296 dove realizza la grandiosa Incoronazione della Vergine sotto la quale è significativamente collocata la rappresentazione del momento in cui Maria “si addormenta”.

La Vergine è distesa sul letto funebre, vegliata e venerata dagli apostoli rappresentati davanti al suo corpo e dietro il suo capo, ma anche dai tre personaggi dalle piccole dimensioni raffigurati in primo piano: il Cardinale Colonna con San Francesco e Sant’Antonio. Ella si trova al centro dello spazio rappresentativo identificabile con la Valle di Giosafat, situata tra il Monte Sion, raffigurato a sinistra, e il Monte degli Ulivi, collocato a destra. Dietro a Maria, appare Cristo, all’interno di una splendida mandorla iridata, simbolo della sua risurrezione, ma anche della sua duplice natura, divina e umana. Egli regge sul braccio sinistro l’animula della Madre, la rappresentazione della persona di Maria (e non solo della sua anima), raffigurata come una bambina vestita di bianco, pronta per la gloria che l’attende. Il Figlio la tiene teneramente vicina al suo petto ed Ella si inchina a Lui in segno di adorazione, alzando la destra per accogliere il privilegio di cui è fatta destinataria.

Il fondo oro proietta i personaggi nell’orizzonte dell’eternità e, nello stesso tempo, nella luce divina. È il trionfo della vita, quella che è significata dalla lettera greca Z che l’apostolo Pietro, raffigurato dietro il capo della Vergine, porta impressa su un lembo del suo mantello. Quella Z è una gammadia, una lettera che racchiude il riferimento ad una realtà superiore. È la Z della parola greca zoe, vita: non quella che prevede un inizio e una fine, non l’esistenza biologica, ma la dimensione della gioia eterna a cui l’uomo è destinato.

Domenico Vescia


L'INCORONAZIONE DELLA VERGINE NEL CATINO DELL'ABSIDE DI SANTA MARIA MAGGIORE

Il nostro percorso alla scoperta dei tesori della Basilica di Santa Maria Maggiore si conclude con la contemplazione del grandioso mosaico del catino absidale, il centro focale dell'intero edificio. Lo sguardo del fedele o del visitatore che varca il portale è accompagnato dalla scansione stessa della navata, dai lacunari del soffitto ligneo quattrocentesco e dalle geometrie del pavimento cosmatesco alla scoperta della suggestiva Incoronazione della Vergine, realizzata da Jacopo Torriti nel 1296.

La scena è collocata all'interno di un clipeo dal fondo blu punteggiato di stelle, finalizzato a trasportare il fedele in una dimensione eterna, dove abitano le realtà celesti e dove tutto parla il linguaggio dello stupore. Dagli spazi infiniti del cielo avanza un trono gemmato che riflette la luce dell'evento che si sta svolgendo: Cristo incorona sua Madre, dopo il suo passaggio, in anima e corpo, da questo mondo alla gloria del cielo. Mentre la mano destra del Salvatore si alza per porre la corona sul capo della Vergine, il libro che Egli regge con la sinistra rende noto il senso di ciò che si sta compiendo: "Veni electa mea et ponam in te thronum meum" (Vieni, mia eletta, e ti porrò sul mio trono). Maria è l’eletta, Colei che è stata scelta come Madre di Dio.

Una schiera di cherubini adoranti, dalle ali variopinte, sta alla base del trono e due gruppi di santi innalzano le mani in segno di preghiera: a destra San Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista e Sant'Antonio; a sinistra San Pietro, San Paolo e San Francesco d'Assisi.

Davanti al trono, in dimensioni ridotte, sono rappresentati papa Niccolò IV, committente dell’opera, e il cardinale Giovanni Colonna; al di sotto di essi sono rappresentati  i quattro fiumi del paradiso a cui si abbeverano cervi, simbolo dell'anima assetata di Dio. Nel fiume nuotano pesci e sulle sue sponde si trovano animali e piante: sono un invito a considerare la bellezza della creazione e a pregustare la gioia e la vita del paradiso. Due cespi d'acanto diffondono i loro girali, a simboleggiare la risurrezione e la vita eterna.

Al di sotto del trono si mostrano il sole, simbolo di Cristo, e la luna, simbolo mariano: essi introducono le parole della liturgia della solennità dell'Assunzione: Maria virgo assumpta est ad ethereum thalamum in quo rex regum stellato sedet solio. Exaltata est sancta Dei Genitrix super choros angelorum ad caelestia regna (Maria è assunta nel regno celeste dove il Re dei Re siede sul Suo trono stellato. La Santa Madre di Dio è assunta nei regni celesti sopra i cori degli angeli). Sono parole di lode e di festa, espressioni di gioia e di stupore che fanno eco ad ogni opera che arricchisce la Basilica dedicata alla Madre di Dio, primo e più importante tempio mariano della cristianità.

 

Domenico Vescia


Santa Sabina all’Aventino: la basilica da cui prende avvio il cammino quaresimale

UN’ANTICHISSIMA RAFFIGURAZIONE di CRISTO CROCIFISSO, LA PRIMA CON I LADRONI

Entrare nella Basilica romana di Santa Sabina, sulla sommità del Colle Aventino, significa immergersi in un’atmosfera di grande suggestione.

Il visitatore si sente catapultato nei primi secoli della Chiesa, quando i cristiani si riunivano prevalentemente nelle Domus ecclesiae, case private all’interno delle quali si trovava una stanza che i proprietari mettevamo a disposizione della comunità per la catechesi e per la celebrazione dell’Eucaristia.

Una di queste domus doveva appartenere a Sabina, nobile romana che, secondo la tradizione, fu data in sposa al senatore Valentino, mentre era ancora pagana. Sulla sua conversione esercitò una particolare influenza la testimonianza cristiana dell’ancella Serapia, dopo il martirio della quale anche Sabina fu denunciata e, dopo essersi rifiutata di abiurare alla fede, fu condannata a morte, intorno al 120 d.C.

Sui resti della sua casa, tra il 422 e il 423, fu edificata l’attuale Basilica da parte di Pietro d’Illiria, sacerdote dalmata e poi vescovo. L’edificio – riportato alle fattezze originali negli anni 1914-19 e 1936-37 – conserva le forme degli edifici paleocristiani a pianta basilicale, con la suddivisione in tre navate longitudinali e abside terminale.

Pochi anni più tardi e certamente entro la metà del secolo, la Basilica viene dotata di una porta in legno di cipresso, composta da 28 riquadri, di cui 18 giungono fino a noi. Rappresentano episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, ma anche immagini dall’intensa valenza simbolica. Con ogni probabilità sono due gli artisti che lavorano alla realizzazione e alla decorazione del portale: un primo, certamente di sensibilità ellenistica, capace di modellare figure plastiche; il secondo, più realistico e meno dotato di mezzi tecnici.

Domenico Vescia