A te, che ti senti fallito!

Pubblicato il 28 giugno 2024 alle ore 06:34

A Marianna, Chiara, Angela, a tutti gli animatori…. Oggi vi dedico questa lettera del Card. Martini che sento viva.

 

Lettera a un educatore che si sente fallito.

 

Caro,

 

ti sarai accorto che, scrivendo questa lettera pastorale, ho pensato costantemente a te. Oserei dire che la lettera me l’hai ispirata tu, partecipandomi la tua sofferenza e le tue domande, che ho fatte mie senza troppo sforzo perché anch’io nella mia vita mi sono sentito spesso un “educatore fallito”. Conosco l’amarezza che si prova quando, dopo aver cercato di donarti con onestà e generosità per la crescita di quelli che Dio ti ha affidato (nonostante e attraverso tutti i tuoi limiti), ti sembra che tutto (o quasi) sia stato inutile, perché essi se ne sono andati per la loro strada, a volte anche compiendo scelte che ti hanno fatto molto soffrire e che più ancora - ti sembra - fanno soffrire il cuore del Padre. Arrivi a pensare che hai sbagliato tu e che - avendo agito in buona fede - continuerai ancora probabilmente a sbagliare con altri. Ti viene allora la tentazione di fermarti, di rinunciare, di credere che il compito educativo non è per te.

 

Ho pensato a quello che deve aver provato Gesù davanti al tradimento di Giuda e al rinnegamento di Pietro: non ti nascondo che l’idea del “fallimento educativo” di dio mi ha come sollevato il cuore, riempiendolo di una certa indicibile pace. Non che essa mi faccia avvertire di meno la serietà e la tragicità del “fallimento”; l’albero da cui Giuda pende impiccato resta un’immagine infinitamente dolorosa e amara davanti alla quale non so che tacere. Ma ho anche pensato a come il Risorto ha saputo integrare il fallimento nella continuità e nella fedeltà dell’amore ai suoi “sino alla fine”.

 

Mi è venuto in mente il dialogo tra Gesù e Pietro sulle rive del lago di Tiberiade: in quel momento l’itinerario educativo portato avanti dal Signore nei confronti dei suoi era a una svolta decisiva. Il ricordo, la nostalgia e anche la tristezza delle cose passate potevano paralizzare i suoi, o aprirli a un nuovo, sorprendente inizio. E’ allora che Gesù mi sembra operare un salto che consente di fatto a Pietro e agli altri di cominciare non soltanto “di nuovo” ma “in modo nuovo”.

 

Rivolgendosi a Simone, Gesù gli chiede: “Mi ami tu più di costoro?”. Richiesta esorbitante non solo perché rivolta a chi aveva rinnegato il suo Signore, non solo per quel curioso “più di costoro”, ma anche e specialmente perché Gesù usa il verbo agapào, che indica l’amore totale, esclusivo, incondizionato. Pietro non osa rispondere con lo stesso verbo (forse lo avrebbe fatto prima di conoscere l’amara esperienza del fallimento): risponde semplicemente “Ti voglio bene”, usando il verbo dell’amore amicale philèo.

 

Nella seconda domanda Gesù insiste con la richiesta di amore totale; e Pietro insiste nella seconda risposta con l’offerta del suo povero, umile amore.

Alla terza domanda e risposta non è Pietro che cambia il verbo: è Gesù, “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”; e Pietro - sebbene “addolorato che la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?” (che fosse cioè Gesù ad avere dovuto cambiare il verbo dell’amore) - gli risponde : “Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti voglio bene”. Si potrebbe quasi dire che non è Pietro a convertirsi a Gesù, ma è Gesù che si “converte” a Pietro, si adatta al suo linguaggio e alle sue possibilità.

 

E’ questa “conversione di Dio” che mi colpisce profondamente: anche perché è a partire da essa che Gesù pronuncia l’imperativo nel quale sbocca tutto l’itinerario educativo con cui aveva formato il suo apostolo: “Seguimi!” il significato che colgo penso possa aiutare molto te e me: Gesù ha integrato il fallimento di Simone e, in fondo, il suo personale “fallimento educativo” perché ha molto amato: il suo amore è così totale da essere libero da ogni pretesa, da non imporre all’altro un’esigenza avvertita dall’altro come impossibile da piegarsi sulla debolezza e povertà del suo discepolo per dargli nuovamente la speranza di amare, la fiducia di poter ancora dare tutto, fino alla fine.

 

Così dal fallimento è cominciata la storia nuova della santità di Pietro, spinta fino al martirio, quando egli dirà, non più con le parole, ma con il gesto della vita donata e con il silenzio eloquente della morte, la parola dell’amore esclusivo e totale per il suo Signore. Non assolutizzando il fallimento, ma sdrammatizzandolo fino a negare la speranza, Gesù ha saputo inglobarlo in un cammino di amore più grande, modificando forse ai nostri occhi un progetto educativo, perché non si fermasse l’itinerario educativo dell’imparare ad amare sino alla fine.....

Che il Signore risorto, facendoci sperimentare questo suo amore totale, aiuti a donarlo agli altri e a riprendere il cammino educativo che ci ha affidato, senza soste, senza stanchezze.

+ Carlo Maria card. Martini (già) arcivescovo di Milano

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